The tinkle of the bell above the door announced my arrival, a familiar symphony to my ears. I plastered a smile on my face, hoping it would mask the urgency bubbling inside me. “Just a quick look, please,” I chirped to the bartender, my eyes already searching for the telltale sign: the toilet symbol. Ah, there it was, tucked away in the corner.
A wave of relief washed over me as I slipped inside, the click of the lock closing a promise of temporary sanctuary. This wasn’t the first bathroom I’d visited today, and it certainly wouldn’t be the last. This was my life now, a constant pilgrim...

The tinkle of the bell above the door announced my arrival, a familiar symphony to my ears. I plastered a smile on my face, hoping it would mask the urgency bubbling inside me. “Just a quick look, please,” I chirped to the bartender, my eyes already searching for the telltale sign: the toilet symbol. Ah, there it was, tucked away in the corner.
A wave of relief washed over me as I slipped inside, the click of the lock closing a promise of temporary sanctuary. This wasn’t the first bathroom I’d visited today, and it certainly wouldn’t be the last. This was my life now, a constant pilgrimage from one public restroom to the next, dictated by the whims of my bladder.
It hadn’t always been this way. Once upon a time, I could hold it for hours, I could laugh without fear, I could trust my body. But then came the surgeries, the complications, the whispers of words like “incontinence” and “pelvic floor.” Now, a sneeze was a gamble, a cough a potential disaster.
But I refused to let it define me. I carried spare underwear, panty liners, even those ridiculous adult diapers in my oversized bag. I plotted my routes with the precision of a general, noting the location of every bar, restaurant, and department store with a decent bathroom. I had become a connoisseur of public restrooms, rating them by cleanliness, accessibility, and the power of the hand dryers.
Sometimes, the urge came at the worst times: in the middle of a crowded train, during a meeting, while browsing the aisles of the supermarket. Panic rose, a cold sweat prickled my skin. I made excuses, mumbled excuses, and rushed to the nearest bathroom, praying I would make it in time.
It was exhausting, embarrassing, and often humiliating. But I would not let it defeat me. I would find a way to manage, to cope, to live my life. I would laugh, I would love, I would explore. And I would keep a map of every public bathroom in the city, just in case.

Il tintinnio della campanella sopra la porta annunciava il mio arrivo, una sinfonia familiare alle mie orecchie. Incollai un sorriso sul viso, sperando che mascherasse l'urgenza che ribolliva dentro di me. "Solo un'occhiata, grazie", cinguettai al barista, con gli occhi già alla ricerca del segnale rivelatore: il simbolo WC. Ah, eccolo lì, nascosto in un angolo.
Un'ondata di sollievo mi travolse mentre scivolavo dentro, il clic della serratura che si chiudeva era una promessa di santuario temporaneo. Non era il primo bagno che visitavo oggi, e sicuramente non sarebbe stato l'ultimo. Questa era la mia vita ora, un pellegrinaggio costante da un bagno pubblico all'altro, dettato dai capricci della mia vescica.
Non era sempre stato così. Una volta, potevo trattenerla per ore, potevo ridere senza paura, potevo fidarmi del mio corpo. Ma poi arrivarono gli interventi chirurgici, le complicazioni, i sussurri di parole come "incontinenza" e "pavimento pelvico". Ora, uno starnuto era un azzardo, un colpo di tosse un potenziale disastro.
Ma mi rifiutavo di lasciarmi definire da questo. Portavo con me biancheria di ricambio, salvaslip, persino quei ridicoli pannolini per adulti nella mia borsa oversize. Tracciavo i miei percorsi con la precisione di un generale, annotando la posizione di ogni bar, ristorante con un bagno decente. Ero diventata una intenditrice di bagni pubblici, valutandoli in base alla pulizia, all'accessibilità e alla potenza degli asciugamani elettrici.
A volte, l'urgenza arrivava nei momenti peggiori: in mezzo a un treno affollato, durante una riunione, mentre curiosavo tra gli scaffali del supermercato. Il panico saliva, un sudore freddo mi pizzicava la pelle. Inventai scuse, borbottai delle scuse e mi precipitai verso il bagno più vicino, pregando di arrivare in tempo.
Era estenuante, imbarazzante e spesso umiliante. Ma non mi sarei lasciata vincere. Avrei trovato il modo di gestire, di affrontare, di vivere la mia vita. Avrei riso, amato, esplorato. E avrei tenuto una mappa di ogni bagno pubblico in città, per ogni evenienza.